Il grano seminato a Novembre veniva mietuto con la falce messoria già alla fine di Giugno, poco prima della perfetta maturazione per ottenere un imbiancamento naturale.

I covoni portati sull'aia, con il carro, venivano appoggiati ad una scala di legno, posta orizzontalmente.

Uomini, donne e ragazzi sfilavano manipoli di spighe mettendole tutte alla stessa altezza, un uomo li raccoglieva in un manipolo più grosso e con una falce tagliava via le spighe. I nodi dei culmi messi ad uno ad uno alla stessa altezza, con le forbici della potatura, venivano tagliati via sotto e sopra ed in ultimo si sfilavano le guaine fogliari.

Le paglie erano graduate secondo il calibro al fine di avere una treccia omogenea.

Questa operazione si effettuava manualmente valutando ad occhio ma riusciva perfetta soltanto con l'uso della macchina "vagliatrice".

I fili di paglia eguagliati venivano legati in mazzetti che aperti a ventaglio si lasciavano, verticalmente nell'aia, esposti all'azione del sole e delle rugiade per un imbiancamento naturale. Se l'operatore riteneva l'imbiancamento non perfetto ricorreva all'accensione di zolfo che poneva in casse di legno già piene di mazze di paglie per un'intera notte.

Le paglie prima di essere intrecciate venivano bagnate affinché durante la lavorazione non si spezzassero.

Le trecce più comuni erano quelle di quattro fili di paglia, di sette e di tredici. Una volta realizzata, la treccia veniva ripulita dagli spuntoni delle rimesse con un coltello o con le forbici. Per rendere la treccia più malleabile alla cucitura (soprattutto a macchina) si passava attraverso due rulli di legno o di ferro (torchietto).

La treccia veniva venduta a matasse (pezze) ottenute dall'avvolgimento di essa su uno strumento di misura chiamato "passetto".

Il cappello tradizionale detto "della mietitura" veniva cucito a mano con un ago grosso e il refe; orlo contro orlo prendendo una maglia all'interno e una all'esterno.

Grazie all'abilità della cucitrice i punti del refe risultavano invisibili scomparendo tra le maglie della treccia. In epoche più recenti la cucitura si effettuava con una macchina da cucire a pedali, poi successivamente motorizzata.

Si dava corretta forma e lucidatura, infilando il cappello in una forma di legno e lisciandolo, facendo pressione, con un mazzuolo di legno duro; inoltre si usava anche un ferro da stiro scaldato sulla brace.

Successivamente questa fase si è evoluta con l'utilizzo di una serie di presse di legno e di ferro.

Il cappellaio ambulante di Montappone trasportava ed esponeva i cappelli su una stanga: una "pertica" di salice messa a bilancia su di un pungolo che veniva infisso nel terreno nei momenti di vendita o di pausa.

Da Vincenzo Vitali Brancadoro, anno 1860
in "NOTIZIE STORICHE E STATISTICHE DI MONTAPPONE NELLA PROVINCIA DI FERMO"

Il frumento che si destina alla produzione delle paglie, non è diverso da quello che serve al panificio, ma si scelgono quelle prodotte dal Triticum aestivum (varietà del genere barbuto), volgarmente detto grano marzuolo e calvigia; e dal calvigiotto e mazzocchetta per i lavori più ordinari. Nel novecento oltre la calvigia si piantavano carusella, frasineto, jervicella e torrenuova (quest'ultima varietà di grano non si allettava: non si piegava a terra).

Ricerca a cura di Mario Ercoli
Responsabile del Museo del Cappello



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